Non rappresenta atto di dissociazione, utile al fine di evitare l’esclusione, la semplice rimozione o cessazione dalla carica sociale di un amministratore che sia incorso in reati incidenti sulla moralità professionale.
L’impresa deve infatti dimostrare di aver adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa di un proprio amministratore, come – ad esempio – l’avvio di un’azione per responsabilità sociale, per accedere all’esimente che può essere riconosciuta alle condotte dissociative.
Lo ha deciso il Consiglio di Stato in cui era richiesto di verificare se le azioni poste in essere dall’impresa risultata aggiudicataria della gara fossero idonee a concretare la completa ed effettiva dissociazione dal fatto delittuoso commesso da chi aveva agito in suo nome e per suo conto, perché, in caso di riscontro positivo, l’impresa avrebbe evitato l’esclusione dalla gara (Cons. Stato, sez. V, sent. 6 ottobre 2018, n. 575).
La questione riguarda l’annosa questione della “completa ed effettiva dissociazione” che determinerebbe l’operatività dell’esimente nel caso specifico il riferimento era l’art. 38, comma 1 lett. c) del d.lgs. 163 del 2006, ancora attuale considerato che l’art. 80, co. 3, del Codice d.lgs. 50/2016, il cd. Codice dei contratti ricalca sostanzialmente il testo previgente.
Infatti, entrambi gli articoli stabiliscono che: «in ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata».
In merito alla dissociazione, la posizione prevalente è stata, a suo tempo, ben sintetizzata dall’AVCP (ora ANAC), che ha osservato: «l’avvio di un’azione risarcitoria o la denuncia penale potrebbero non essere necessari per la dimostrazione dell’effettiva dissociazione ma, di contro, potrebbero non essere sufficienti qualora, valutando altre circostanze concrete emergesse il carattere meramente formale del comportamento dissociativo. L’onere di fornire la prova grava sull’operatore economico al quale il legislatore consente di evitare l’effetto dell’esclusione dalla gara, irrogata in conseguenza dell’operato dei soggetti cessati dalla carica, a condizione che, attraverso la dissociazione, venga interrotto quel nesso di identificazione e di collegamento presunti tra i soggetti cessati e la società stessa» (Parere n.54 del 19 marzo 2014).
Nella sentenza in esame, la Corte ricorda che secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea «lo Stato membro ha il diritto di attenuare le condizioni dell’applicazione delle cause facoltative di esclusione e, pertanto, di rinunciare ad applicare una causa di esclusione in caso di dissociazione dell’impresa offerente dalla condotta che costituisce reato. In tal caso, esso ha altresì il diritto di determinare le condizioni di tale dissociazione e di richiedere, come avviene nel diritto italiano, che l’impresa offerente informi l’amministrazione aggiudicatrice della condanna subìta dal suo amministratore, anche se tale condanna non è ancora definitiva” (sent. 20 dicembre 2017 in causa C-178/16 – Mantovani).
In questo quadro interpretativo, il Collegio evidenzia che «siccome la dissociazione non costituisce un istituto giuridico codificato nelle sue modalità di rappresentazione, essa può avere legittimamente luogo in svariate forme, a condizione che essa risulti esistente, univoca e completa», in ogni caso, ai fini dell’operatività dell’esimente in parola, l’impresa deve comunque dimostrare di aver adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa, ad es., l’avvio di un’azione per responsabilità sociale.
Esemplificativo in proposito, secondo il Collegio, è un precedente in cui è stato ritenuto che la mera azione di responsabilità nei confronti del socio, proposta da una società a base ristretta come una s.r.l., partecipata al 95% dal responsabile stesso del reato non garantisce in alcun modo che la società si sia fattivamente dissociata dalla condotta del soggetto, occorrendo qualcosa di più significativo e preciso (Cons. Stato, sez. V, sent. 30 aprile 2014, n. 2271).
In tal caso, appurato che non potesse ottenersi l’esclusione del socio, la dissociazione avrebbe dovuto concretizzarsi almeno nella richiesta di un provvedimento di sequestro a garanzia dell’azione e l’individuazione di un nuovo amministratore della società che fosse del tutto indipendente e che desse garanzie serie di perseguire e proseguire nell’azione di responsabilità intrapresa nei confronti del socio.
In esito alla verifica dei presupposti della dissociazione, i giudici hanno concluso che, nel caso di specie, univoci elementi deponevano nel senso di escludere che le misure comunque adottate dall’impresa aggiudicataria costituissero prova di una genuina volontà di prendere le distanze dalla condotta del proprio amministratore e di perseguirne in modo coerente le condotte (ormai manifestamente) illecite dello stesso.
Infatti, non potevano essere ritenuti sufficienti
· la semplice rimozione o cessazione del medesimo dalla carica sociale, considerato che l’amministratore aveva già in precedenza rassegnato autonomamente le proprie dimissioni;
· la intervenuta costituzione come parte civile nel processo penale a suo carico, considerato che, seppur il conseguente giudizio si era concluso con una sentenza di patteggiamento, la società non aveva poi ritenuto di riassumere in sede civile l’azione divenuta inammissibile nell’ambito del giudizio penale.
Il Consiglio di Stato ha quindi concluso che la dissociazione della società aggiudicataria, anche tenendo conto della tempistica, fosse meramente formale e inidonea ad addossare al solo amministratore le effettive conseguenze della sua condotta, così come a determinare una chiara ed effettiva presa di distanza rispetto alle sue correlative attività.
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Riferimenti esterni
– Cons. Stato, sez. V, sent. 6 ottobre 2018, n. 5753
– Cons. Stato, sez. V, sent. 30 aprile 2014, n. 2271
– Parere ANAC n.54 del 19 marzo 2014